Ci sono insegnanti che ogni giorno a scuola usano l’interdisciplinarietà per generare esperienze di convivialità e integrazione abituando i bambini al confronto tra pari. Spesso è proprio il cibo a suggerire come le differenze culturali siano un arricchimento per tutti. Così fa Sara una professoressa di una scuola media che attraverso il cibo riesce ad esplorare i mondi rendendo protagonisti i ragazzi, italiani e stranieri. Abbiamo chiesto a Sara di raccontarci le sue lezioni di geografia, non solo per come si realizzano, ma anche per l’effetto che producono nella classe.
“Conoscere nazioni e tradizioni culturali attraverso le abitudini alimentari e
gastronomiche di un Paese è come condividere un pezzetto della propria anima e
farla apprezzare ai compagni. Con il cibo si superano barriere linguistiche offrendo il
piacere del palato che è un’esperienza universale che unisce. Utilizzare questa
modalità d’insegnamento aperta ad una degustazione condivisa di sapori restituisce
dei risultati che, a volte, vanno al di là della didattica.
Da alcuni anni sperimento nelle mie classi in percorso di geografia interculturale che ho chiamato ‘il giro del mondo in un piatto’. Si può fare in tutti e tre gli anni, ma sicuramente l’anno in cui dà più soddisfazione è la terza media, quando il
programma prevede lo studio dei paesi extraeuropei. Man mano che affrontiamo un
continente chiedo agli alunni e alunne originari di quel Paese se hanno voglia di
preparare una ‘lezione’ in cui farci conoscere la loro nazione da tutti i punti di vista e
con tutti i sensi, in particolare il gusto e l’olfatto, preparando, con l’aiuto delle
mamme, i loro piatti tipici preferiti. La proposta viene sempre accolta con entusiasmo,
ed è commovente vedere con quanto orgoglio i ragazzi propongono alla classe le
loro specialità. Solitamente il momento è un po’ delicato, i compagni spesso si
mostrano, inizialmente, diffidenti e non assaggiano sempre volentieri pietanze che
risultano lontane dai loro gusti. Ma regolarmente, una volta rotto il ghiaccio e superato il pregiudizio, le classi si scatenano e si abbuffano.
I piatti sono sempre preparati con grande cura e attenzione, il piacere del gusto riempie di complimenti i fieri compagni. L’assaggio si presta a mille approfondimenti, si parla di alimentazione, di religione, di cultura. Si trovano somiglianze e differenze con le tradizioni nostrane, e si scopre come la convivialità sia sempre una preziosa fucina di idee e scambio.
I ragazzi ‘stranieri’ sono sempre emozionati ed orgogliosi. Spesso ritrovo il racconto
di questa esperienza nei temi, come quello di una ragazza egiziana (di cui sono
rappresentati nella foto i piatti della cultura nazionale), inserita in una classe
particolarmente difficile e conflittuale, che ha sempre vissuto malissimo il suo essere ‘diversa’. Nel testo d’esame ho ritrovato trascritta l’emozione dei quella ‘lezione’:
“quel giorno, vedendo i miei compagni che invece di prendermi in giro perché sono
egiziana mangiavano i nostri piatti, li apprezzavano davvero, volevano i bis e mi
facevano i complimenti, in quella occasione, per la prima volta, mi sono sentita
davvero accolta nella classe”. Il vissuto dei ragazzi che degustano piatti di culture
diverse, portati dai propri compagni, è qualcosa di indelebile che rimane nella
memoria e diventa un’occasione per unire la classe, sradicando barriere e pregiudizi.
L’esperienza di Sara racconta una scuola che coglie l’opportunità di mettere al centro il cibo nella didattica di tutti i giorni sfidando le regole che rendono tutto questo
‘illegale’. Eppure abbiamo bisogno di una scuola aperta e moderna che riconosca nel cibo un veicolo di apprendimento interdisciplinare che può avere effetti anche sulla mensa dove, per esempio, di fronte ad un cous cous, ci sarà meno resistenza e ci accorgeremo di avere meno avanzi, grazie ad un consumo più consapevole. Tutto questo permette una maggiore convivialità ed inclusione tra i compagni andando oltre al concetto di educazione alimentare che fa riferimento, per lo più, agli aspetti salutistici degli alimenti, che sono solo una voce nel lungo elenco del potere trasformativo del buon cibo.