Il sistema mensa di Roma è stato considerato per anni una best practice a livello internazionale e citato come modello a confronto con Londra e New York all’interno del libro School Food Revolution pubblicato dall’Università di Cardiff. Da qualche giorno invece è entrato nella lista delle mense dell’orrore di cui ha parlato il Ministro della Salute, che ha fatto riferimento alla chiusura di 7 cucine su 224 ispezionate dai Nas, 3 delle quali a Roma. Ma la caduta di Roma registra un gap notevolissimo considerato quello che era fino a qualche anno fa: un sistema di controlli serrati, il 78% di biologico, tutti i prodotti freschi, la promozione del km zero e 450 cucine nelle scuole. Di tutto questo quello che rimane, di certo, sono le cucine nel 92% delle scuole romane, mentre il biologico è crollato, così come il sistema dei controlli è stato smantellato e in qualche scuola si trovano i topi.
SILVANA SARI EX DIRETTORE ALLE POLITICHE EDUCATIVE DI ROMA
A raccontare come era la mensa di Roma è Silvana Sari, che è stata per anni Direttore alle Politiche Educative del Comune di Roma ed è conosciuta per essere stata l’artefice della migliore mensa metropolitana al mondo. La ristorazione scolastica di Roma è l’appalto di servizi più grande d’Italia e uno dei 10 più grandi di Europa, muove centinaia di milioni di euro.
La prima cosa che emerge intervistando Silvana Sari è che il modello di mensa virtuosa di Roma è frutto di una volontà politica: “l’Amministrazione Rutelli, Verde ecologista, ha cercato di promuovere il biologico il fresco e la filiera corta, e ha permesso di realizzare quello che è stato il modello di mensa a Roma fino a dieci anni fa.” Dal 1995 quando si è insediata Silvana Sari a dettare le regole della nuova mensa a Roma c’è stato un cambiamento drastico: ‘Sono stati introdotti tutti alimenti freschi, ad eccezione del pesce e dei carciofi, prodotti del territorio Dop e Igp, come la ricotta e il pecorino romano, le migliori carni, come il vitellone bianco dell’appennino centrale, la chianina, ma anche le pregiate carni marchigiane. Progressivamente si è adottato un sistema che garantiva la qualità del fresco, per esempio le insalate e le fragole non potevano avere più di 3 giorni dalla raccolta al consumo. Abbiamo introdotto i menù etnici ed i prodotti equo-solidali come le banane e la cioccolata del Perù; sono state proposte le crudité prima del pasto, eliminando il latte che si servita come bibita durante i pasti ed era un importante appesantimento nutrizionale…e abbiamo introdotto, anche per eliminare notevoli differenze da bambino a bambino, la merenda a metà mattina a base di frutta o yogurt, cioccolato, o panino e in un secondo momento anche la merenda del pomeriggio. Sono state promosse ristrutturazioni delle cucine e dei refettori con materiali eco compatibili ed a basso consumo energetico.
Il fiore all’occhiello di Roma era anche il biologico che ora è diminuito?
Sono stati introdotto prodotti biologici nella percentuale del 78% ciò ha costituito un volano per lo sviluppo del biologico in Italia. Un’azione fatta in abbinamento ad un percorso di educazione alimentare per i ragazzi e le loro famiglie che ha avviato uno sviluppo culturale intorno al tema del mangiar sano, buono e giusto. Ora, invece, il biologico è sceso intorno al 50% circa.
L’elemento chiave a Roma era il sistema dei controlli?
“Si, era quello che meravigliava di più all’estero (Stati Uniti , Cina, Francia, Inghilterra, Polonia, Germania, Spagna,…) dove sono stata invitata a presentare il nostro modello di ristorazione. Il sistema dei controlli è stato il nostro pallino. Un altro elemento fondamentale era la precisione e la chiarezza prestazionale del servizio richiesto nel capitolato, le quantità e la qualità erano puntualmente descritte, insomma sapevamo bene quello che era necessario…le prestazioni richieste al fornitore erano assolutamente chiare, trasparenti e precise e altrettanto erano le sanzioni in caso di inadempienza. Prima del nostro appalto il biologico era limitato, il km zero inesistente ed il sistema di controlli completamente carente e tutto ciò con un costo pasto consistente. Mantenendo la stessa base d’asta (costo pasto) abbiamo iniziato ad introdurre tutta una serie di elementi che hanno innalzato la qualità dei cibi. Questo, abbinato ad un sistema di controlli serrato, ha riequilibrato i profitti delle aziende.”
Come funzionava il sistema di controllo durante la sua gestione dal ‘1995 al 2005?
“C’erano tre livelli di controllo: le dietiste nei municipi che controllavano le derrate, in termini di qualità e quantità e che il servizio fosse conforme. Inoltre c’erano le dietiste dell’Amministrazione centrale che potevano fare controlli integrativi sugli appalti nei municipi. Infine c’erano due aziende specializzate nei controlli e nelle analisi di laboratori, reperite con gara europea, che operavano un monitoraggio costante sul territorio della città che avevamo diviso in due quadranti territoriali. Infatti ciascuna ditta controllava un’area e dopo un certo tempo si scambiavano il territorio di competenza. Queste ditte facevano controlli di laboratorio, andavano nelle aziende agricole, nei magazzini, nelle aree di stoccaggio, nelle cucine. Questo era un sistema di controllo da cui era complicato sfuggire e debbo dire difficile da riscontrare in altre realtà. L’altra cosa importante erano le sanzioni chiare e automatiche, non c’era bisogno di fare interpretazioni …e potevano essere raddoppiate o triplicate se la stessa ditta nello stesso lotto (Roma è divisa in 11 lotti territoriali divisi per 11 fornitori) faceva lo stesso tipo di infrazione con la possibilità di revoca dell’appalto. Mi ricordo che sicuramente in un caso, ma forse in due, il servizio è stato revocato. Questa caratteristica ha trasformato la mensa di Roma in un sistema di eccellenza. Senza un sistema di controlli tutto è affidato alla professionalità, onestà e correttezza delle ditte private, ma così il comune rinuncia al doveroso ruolo di committente e non riesce a garantire che la qualità richiesta e pagata venga erogata. Ricordo che durante la gestione, che ho diretto pur con un sistema così serrato di controlli e sanzioni, venivano rilevati consistenti inadempienze e violazioni della qualità e quantità specialmente i primi tempi quando i privati non erano ancora abituati a tale sistema di monitoraggio.
C’è qualcosa nelle gare d’appalto che non va?
“Quando sono arrivata ho trovato che le aziende di ristorazione facevano ribassi sulla base d’appalto molto consistenti fino al 15-20% . Dopo il nuovo sistema con la sostanziale modifica del capitolato d’appalto i ribassi sono diminuiti drasticamente arrivando al ribasso del 0.1 % 0,2% della base d’appalto. Questo perché nella gara avevamo correttamente individuato il costo pasto dopo una puntuale analisi economica del costo dei viveri, del trasporto, del processo di cottura, insomma di tutto il servizio nel suo complesso e perché nella gara il servizio e la quantità/qualità era descritta con precisione e blindato con delle sanzioni chiare e facilmente applicabili. Quindi le ditte hanno compreso che quello che avrebbero offerto in sede di gara avrebbe dovuto essere fornito.
Quindi ribassi d’asta così alti non sono un indicatore positivo? “Assolutamente no. Ci sono tre condizioni che possono determinare ribassi consistenti: il prezzo a base dell’asta troppo alto, frutto di un’analisi economica sbagliata da parte del Comune, oppure le prestazioni richieste nebulose e a maglie larghe, per cui la ditta aggiudicataria dell’appalto le può agilmente ‘scavalcare’, oppure non sono previsti controlli o sono inconsistenti. Ma potrebbe verificarsi anche la compresenza di tutti e tre gli elementi suddetti.
Ma il fatto che non ci siano più controlli può essere determinato, secondo lei, dal fatto che il personale costa e quindi ingaggiare un sistema di controllo sia troppo oneroso per l’Amministrazione?
“No, è solo una scelta politico/amministrativa. In un servizio efficiente almeno il 10% del costo del servizio dovrebbe essere destinato al controllo altrimenti si rischia di non avere quello che si richiede e si paga compromettendo la qualità e la salute dei cittadini in caso di servizi così delicati come quello della ristorazione scolastica.
OGGI IL NODO DEI CONTROLLI
Oggi a Roma la situazione delle mense è fuori controllo. Il sistema dei 3 livelli di monitoraggio del servizio, che era la garanzia dell’applicazione di un capitolato di qualità, si è sgretolato o è stato smontato. Il 31 dicembre 2015 sono scaduti i contratti delle società che operavano i monitoraggi e le analisi di laboratorio e non sono stati indetti più bandi per ripristinare il controllo delle società specializzate. Le dietiste dovrebbero essere 116, ma sono solo 75 e caleranno ancora con i pensionamenti del prossimo anno. Per dare un’idea di come sono insignificanti i controlli nelle mense citiamo i dati riportati dal Messaggero lo scorso 13 ottobre in un articolo dal titolo ‘Pochi dietisti, mense senza controllo‘ nel quale si fa riferimento al numero di ispezioni dei dietisti nello scorso anno: 4 nel Municipio XII e 5 nel Municipio XV 6 nel Municipio 8.
La situazione era già nota anche ai genitori che avevano lanciato l’allarme nell’aprile del 2016 attraverso il Forum delle Famiglie del Lazio. Ciò nonostante non è stato registrato nessun tentativo di ripristinare un sistema efficace di controlli.
COME IL PONTE DI GENOVA
Come sostiene Silvana Sari “Eliminando i controlli si abdica al ruolo pubblico e spesso si creano disastri irreparabili. Il crollo del ponte di Genova purtroppo è stato l’esempio di quello che significa rinunciare ai controlli, non si tratta di privatizzare o no, ma il pubblico ed il privato debbono fare ciascuno la propria parte.