Giovanni Faedi è l’ex dirigente della Pubblica Istruzione e della ristorazione scolastica nei comuni di Cesena ed Ancona a cui spetta il merito di aver realizzato la prima mensa biologica in Italia; ha, di recente, partecipato alla definizione dei CAM e del recente decreto sulle mense biologiche in qualità di tecnico rappresentante dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e attualmente fa parte della Commissione che sta elaborando le nuove Linee di indirizzo della ristorazione scolastica ed ospedaliera. A lui abbiamo chiesto di raccontarci l’esperienza della prima mensa biologica in Italia che ha realizzato nel lontano 1986 e di spiegare come si fa a radicare questa esperienza nel tempo in modo che resista nonostante il succedersi delle Amministrazioni.
La prima mensa scolastica biologica nasceva 32 anni fa a Cesena, comune di oltre 90mila abitanti, grazie ad una proficua collaborazione dell’Assessorato Pubblica Istruzione del Comune col Servizio Materno-Infantile dell’ASL. La mensa biologica nasce sulla scia del progetto “Pappamondo” che prevedeva per le mense scolastiche, dal nido d’infanzia alla scuola dell’obbligo, un largo impiego di alimenti biologici nell’ambito di una revisione delle tabelle dietetiche secondo il modello dell’alimentazione mediterranea e in linea con le raccomandazioni dell’Istituto Nazionale della Nutrizione. Tre erano gli obiettivi da raggiungere. In primo luogo si trattava di abituare l’utenza, più le famiglie che gli alunni, ad un minor consumo di carni e di prodotti animali e ad uno maggiore di pesce, di cereali integrali e semi-integrali, di legumi, di frutta e verdure fresche di stagione. Il tutto utilizzando alimenti provenienti dall’agricoltura biologica, per quanto era possibile secondo le disponibilità di mercato dell’epoca.
A metà degli anni ‘80 l’agricoltura biologica costituiva un’attività poco sviluppata e non disponeva ancora di una adeguata regolamentazione. Per ultimo c’era la questione dei prezzi d’acquisto degli alimenti biologici che, in quegli anni, venivano commercializzati a prezzi ben più alti rispetto a quelli dell’agricoltura convenzionale, e ciò poteva comportare un aumento significativo dei costi del servizio e, a seguire, delle tariffe a carico delle famiglie.
Riguardo alla disponibilità dei prodotti biologici, il Comune trovò un fornitore affidabile nella ditta Mustiola, che operava nel cesenate e cominciava ad affermarsi sul mercato del biologico. Tra i primi prodotti bio introdotti in mensa c’erano la frutta e la verdura, i cereali e i legumi, il pane, le uova, il latte, lo yoghurt, il formaggio fresco. Rispetto ai costi, la mossa che ne favorì il contenimento fu l’adozione di tabelle dietetiche formulate secondo il modello della alimentazione mediterranea, che consentì di ridurre il consumo delle carni, più costose dei suoi sostituti proteici. Sul versante del gradimento dei nuovi menù e dei prodotti bio da parte di alunni e famiglie, il progetto investì sin da subito sulla formazione degli operatori delle scuole (cuochi, educatrici, insegnanti) per raggiungere poi, a livello di informazione e sensibilizzazione, le famiglie.
Il progetto, denominato il “Pappamondo”, dapprima fu proposto e realizzato in alcuni servizi per l’infanzia, e nel giro di tre anni fu esteso a tutti i nidi, a tutte le scuole dell’infanzia e a tutte le scuole elementari con la mensa interna, ottenendo una adesione convinta da parte dell’utenza, composta da alcune migliaia di alunni con le loro famiglie. Ciò costituì un ulteriore motivo di conforto per quanto veniva realizzato e di interesse da parte di quanti, a livello nazionale e internazionale, erano coinvolti nella qualificazione biologia della ristorazione scolastica.
Dal progetto alla pratica consolidata, per una governance efficace del sistema di ristorazione
Il Pappamondo, pensato e portato avanti dalla metà degli anni 80, continua a dare i suoi frutti, a tutt’oggi [ndr. Pappamondo compie 30 anni]. La sua continuità nel tempo, pur con le necessarie trasformazioni legate al cambiamento dei contesti di riferimento, ha rappresentato un fattore di garanzia nel mantenimento della qualità del servizio. Non sempre questo accade: più di una esperienza di mensa biologica si è interrotta in seguito a cambiamenti nella composizione e nelle volontà degli assessorati e delle giunte comunali. Od anche per uno scarso coinvolgimento delle scuole nel progetto. Questa evenienza non ha riguardato l’esperienza di Cesena, che ha conservato l’interesse delle Amministrazioni succedutesi nel corso di tre decenni e ha mantenuto l’originario patto di collaborazione con le autorità sanitarie locali, non perdendo per strada il sostegno delle scuole e il gradimento degli alunni e delle loro famiglie. Ciò ha richiesto una regia coordinata dell’intero sistema di ristorazione, una governance che ha consentito di affrontare, in modo integrato, tutti gli aspetti che fanno la qualità del sistema, dalla elaborazione delle tabelle dietetiche e dei capitolati, alla definizione e realizzazione delle procedure di controllo e di monitoraggio della sicurezza, della salubrità e della gradevolezza degli alimenti, agli strumenti per la valutazione della qualità dei cibi in collaborazione con l’utenza. Si tratta di una governance che non ha guardato soltanto ai processi di produzione e distribuzione dei pasti, e si è interessata alla qualificazione del contesto ambientale, educativo e relazionale in cui gli alunni consumano i pasti a scuola, che rappresenta un fattore decisivo nel determinare la buona riuscita del servizio e il suo positivo impatto nella vita delle persone.
Mettere a valore il biologico nella ristorazione a scuola
Le mense scolastiche biologiche stanno conquistando un crescente livello di consenso presso le famiglie e le autorità che si occupano di scuola, anche sotto la spinta di raccomandazioni ed indirizzi provenienti dall’Unione Europea, di direttive assunte dalle Regioni e di norme nazionali a favore della green economy e della valorizzazione del biologico nella ristorazione pubblica. L’interesse per il biologico a scuola pare non essere scalfito dai rilievi che non gli accreditano una qualità nutrizionale migliore e una maggior salubrità rispetto ai prodotti coltivati tradizionalmente. Alle produzioni biologiche si riconosce l’adozione delle migliori pratiche ambientali, di tutela della biodiversità e di salvaguardia delle risorse naturali, nonché la funzione sociale di fornire beni pubblici che si prendono cura dell’ambiente, del benessere degli animali e promuovono lo sviluppo rurale. Questo riconoscimento consente al biologico di occupare una posizione privilegiata nell’ambito delle pratiche educative e scolastiche che promuovono la formazione di atteggiamenti proambientali e sostengono l’attenzione alla tutela della salute individuale e degli ecosistemi. Tanto è vero che gli agricoltori del biologico risultano essere i più presenti, e i più impegnati, nel supportare i percorsi di ricerca delle scuole in fatto di cibo e di sostenibilità ambientale. E a loro volta pedagogisti ed insegnanti mettono a valore l’agricoltura biologica nei processi di educazione alimentare, per la sua vocazione ad essere rispettosa dei ritmi della natura e dei suoi prodotti, qualificandosi, pertanto, come una pratica che entra in sintonia con una educazione attenta a sostenere nei bambini e nei ragazzi la formazione di un rapporto più sereno col cibo, meno distratto e confusivo, meno condizionato da stili di vita sempre più tecnologizzati ed affrettati.
Dall’esperienza del Pappamondo
Su questo piano l’insegnamento che viene dal progetto Pappamondo mette in evidenza come sia fondamentale iniziare la proposta di mensa biologica nell’età del nido e della scuola dell’infanzia, quando i genitori sono più che mai interessati alla salute e alla buona crescita dei figli e si dimostrano disponibili a raccogliere consigli utili per la loro ristorazione domestica. Iniziare bene dal nido e dalla scuola dell’infanzia significa contribuire alla formazione di genitori fidelizzati ad una buona ristorazione biologica, della quale si faranno promotori negli ordini di scuola successivi.
Un altro elemento di processo, che il Pappamondo segnala, riguarda il “fare” di bambini e ragazzi attorno ai fatti dell’alimentazione, e non soltanto il loro “conoscere” mediato da testi ed immagini. Da qui la proposta di situazioni esperenziali che consentono agli alunni di mettersi in gioco con tutti i loro sensi e i loro vissuti, in una ricerca di conoscenza e di competenza che li impegna al confronto con situazioni reali. Il mondo del biologico, in forza dei suoi presupposti culturali, si accorda con l’immagine del pasto a scuola pensato come un contesto che mette a suo agio l’alunno e lo invita alla conoscenza degli alimenti, per imparare a nutrirsi come un atto di rispetto verso se stessi, dell’ambiente in cui si vive, della dignità del lavoro agricolo e di quanti sostengono un modello di produzione più sostenibile.
Tra non molto entrerà in vigore il decreto sui Criteri Minimi Ambientali che rende obbligatorio nelle mense scolastiche l’impiego di una percentuale significativa di alimenti biologici. Sono più di 6.000 i comuni, e tanti sono gli istituti privati, che attualmente non forniscono pasti biologici agli alunni e dovranno pertanto adeguarsi. Si tratta di un’operazione su larga scala che dovrà tener conto delle buone pratiche in essere e contare sul sostegno dei principali attori del sistema della ristorazione collettiva. Sarà importante che l’intero processo di messa in opera del decreto sia monitorato per coglierne le criticità e correggerne gli effetti. Dobbiamo stare attenti: non siamo un Paese particolarmente abituato a dar conto di quello che viene fatto e dei suoi impatti sulla vita delle persone e delle collettività.