Foodinsider dalla parte dei bambini di Arezzo


L’intervento di Foodinsider alla conferenza di Arezzo del 2 febbraio, a parte un’introduzione sul contesto attuale delle mense italiane, ha voluto portare il confronto con realtà di ristorazione scolastica che rappresentano delle best practice. Questo perché attraverso i modelli virtuosi si possono comprendere quali sono gli aspetti fondamentali che caratterizzano le mense migliori e dal confronto trovare la forza e la volontà di cambiare. Il cambiamento è un percorso difficile, pieno di ostacoli ma necessario se si vuole raggiungere dei risultati che portano valore a tutta la comunità.
Di seguito riportiamo la sintesi del nostro intervento.

Una breve introduzione su Foodinsider che è un osservatorio che monitora e mappa la realtà e dall’altra identifica e promuove best practices affinché siano di stimolo per i Comuni ad allargare la prospettiva e la competenza su modelli di valore di ristorazione scolastica. Divulghiamo e promuoviamo le migliori mense scolastiche in Italia e all’estero. Di recente siamo stati invitati a parlare a Parigi al World Catering Forum a rappresentare l’Italia dove abbiamo portato le nostre best practices, che per gli stranieri sono qualcosa di straordinario. La bellezza dei nostri progetti virtuosi di mensa e la qualità dei pasti che descriviamo sono qualcosa di inarrivabile per gli stranieri che rimangono increduli. Noi italiani sul cibo siamo in grado di dare il meglio di noi stessi e fare cose strepitose, soprattutto quando la mensa è il risultato di un lavoro di squadra. Alcuni di questi progetti virtuosi sono oggetto della mia relazione di oggi.

Foodinsider è un movimento indipendente, non ha sponsor e non ha legami con il mercato, ma ha una posizione precisa: sta dalla parte dei bambini, per difendere la salute, promuovere l’educazione al gusto, alle corrette abitudini alimentari e sviluppare maggiore attenzione verso l’ambiente. Per questo il nostro intento è quello di sensibilizzare i genitori e tutti gli stakeholder che ruotano intorno alla ristorazione scolastica sull’importanza della qualità degli alimenti, sull’equilibrio dei pasti e sulla sostenibilità delle scelte alimentari per poter incidere nel cambiamento verso modelli virtuosi di mensa scolastica. In alcune realtà lo abbiamo fatto e questa è la nostra più grande gratificazione.

Fino ad oggi ci siamo fatti conoscere per il Rating dei menu scolastici che si basa su un questionario sviluppato dall’ASL2 di Milano, ma speriamo di godere di altrettante visibilità con il prossimo test, di cui parliamo pubblicamente oggi per la prima volta. Si tratta del test sul pasto sostenibile, (che stiamo testando online) un questionario che attinge la sua metrica dalle indicazioni del Green Public Procurement, che in Italia è obbligatorio dall’aprile del 2016, dalle linee di indirizzo contro lo spreco del Ministero della salute indirizzate proprio agli operatori della ristorazione collettiva, dalle Raccomandazioni dell’OMS e dallo IARC.

Perché ci siamo posti il problema della sostenibilità del pasto? Perché noi, ma soprattutto i nostri figli, ci troviamo ad affrontare sfide per le quali dobbiamo fare qualcosa subito per garantire un futuro alle nuove generazioni. I numeri che le organizzazioni mondiali ci riportano sono allarmanti: la riduzione delle risorse disponibili come la fertilità dei suoli, (abbiamo perso negli ultimi 40 anni il 33% della fertilità dei suoli) la disponibilità di acqua, sempre più inquinata, l’emissione di CO2 nell’atmosfera e il climate change sono tutti agenti di un cambiamento che si scontra con il paradosso dei consumi:  1,9 miliardi di persone sovrappeso, 600 milioni di obesi, ma anche 794 milioni di persone che soffrono la fame, 2 milioni che soffrono di malnutrizione e ben 1,3 miliardi di tonnellate di cibo gettate ogni anno. Di fronte a questa situazione paradossale abbiamo voluto attivarci per aumentare la sensibilità su questo tema e fare in modo che le istituzioni e gli attori della ristorazione collettiva si attivino e prendano delle iniziative per invertire questa tendenza.

Ecco una breve introduzione su quello che è il contesto attuale della ristorazione scolastica in Italia e cosa è successo negli ultimi 10/15 anni. Nel nostro comitato scientifico abbiamo Maurizio Mariani (presidente di Eating City) che è un economista molto autorevole, che ha scritto diversi libri, uno di questi ha analizzato i bilanci delle aziende di ristorazione collettiva. Il risultato di questa analisi descrive, con numeri alla mano, come è cambiato questo mercato negli ultimi 15 anni. Il dato che emerge più evidente è la riduzione del personale a causa della chiusura progressiva delle cucine e la creazione di centri cucina industriali che hanno accentrato la produzione dei piatti in un unico centro da cui i pasti vengono trasportati nelle scuole. Questo oltre ad aver portato ad una netta riduzione del personale, ha inciso nella scelta degli alimenti da proporre in mensa, privilegiando materie prime pronte all’uso, piatti già processati che richiedono bassissima elaborazione, trasformando le cucine da cuore pulsante della qualità dei piatti, luogo dove i cuochi elaborano i menu sulla base di ricette, in ‘centri di assemblaggio’ dove la competenza dei cuochi non è più valorizzata.

Un altro dato è la quantità di frodi e irregolarità registrate dai Nas. Il dato inquietante è che si è passati da un quarto di ‘non conformità’ rilevate due anni fa, ad un terzo oggi. Un incremento allarmante determinato dall’assenza di controlli e di governance del servizio. Un ultimo dato è il drammatico aumento del cibo scartato pari ad un terzo degli piatti proposti in mensa.

Al declino della qualità dei pasti si è affiancato un progressivo aumento delle tariffe che ha portato ad una una frequente conflittualità sociale che vede contrapposte le famiglie alle Amministrazioni. Quando i problemi che stanno alla base di questa conflittualità non vengono affrontati e risolti, questa contrapposizione si trasforma in un muro contro muro che che in alcune città è confluito nel ‘pasto da casa’. Così è successo a Torino, dove il numero delle famiglie che hanno abbandonato il servizio di ristorazione scolastica sfiorano lo stessa quantità dei bambini che accedono al servizio mensa. A Torino ci sono genitori che ci fanno sapere che esistono classi dove accedono al servizio mensa solo 2 bambini, mentre tutti gli altri hanno il pasto da casa, ribaltando i numeri della ristorazione scolastica. Quello che è successo in questa città è qualcosa che ci deve far riflettere perché non è rimasto un fatto isolato, ma ha contagiato tutte quelle realtà, e sono tante, dove si è creata una conflittualità tale intorno alla mensa che ha sciolto ogni possibilità di dialogo e ha portato i genitori a disiscriversi dal servizio di ristorazione scolastica.

Ora veniamo alla nostra indagine. Partiamo dai menu. Vi presento il menu di Civitanova Marche che è un menu molto simile al vostro in termini di comunicazione perché non dice nulla sulla qualità degli ingredienti dei piatti. Guardate invece questo menu di Bolzano: ogni proposta ha un’informazione di riferimento, data da un’icona di cui esiste una legenda di riferimento. Da questi elementi grafici si ottengono tante informazioni pertinenti ad ogni singolo pasto e alle materie prime che lo compongono: si viene a sapere se un alimento è a filiera corta, se è biologico, se è surgelato, se è un piatto di produzione propria, ecc. Questo è un menu parlante. E’ un menu fiero, orgoglioso della qualità che propone ai bambini e questo orgoglio il Comune vuole condividere con le famiglie informandole della qualità dei piatti.

Guardiamo ora ad una rappresentazione di un menu settimanale: Il menu di Trento ha moltissimi aspetti positivi a partire dalla frutta a metà mattina che è la condizione ideale per arrivare a pranzo con sufficiente fame per consumare il pasto. Viene proposta un’ottima varietà di cereali in una settimana (3 diversi con una variante di pasta anche integrale), c’è moltissimo biologico e la peculiarità della doppia porzione di verdure ad ogni pasto sia cotte che crude.

Un altro modello di pasto è quello di Milano, che è una realtà che ha un approccio diverso perché privilegia prodotti pronti all’uso: bastoncini, hamburger di pesce, pizza, verdure IV e V gamma. Questo menu rimanda ad un ridotto impiego di personale ed un approccio industriale nella produzione dei piatti che utilizza molti prodotti che richiedono poco tempo di elaborazione ma con ingredienti più costosi come le verdure IV e V gamma.

Questi approcci diametralmente opposti hanno una ricaduta sull’educazione al gusto.

Se ascoltiamo i bambini che rispondono alla domanda ‘dimmi quali sono i tuoi 3 piatti preferiti della mensa?’ ci sorprende vedere che si sono bambini che dicono ‘pizza, lasagna, hamburger e bastoncini’ ed altri che dicono ‘hummus di ceci, zucca, gnocchi con la zucca, lasagne di verdura, pasta marrone’ (integrale) Questa contrapposizione di gusti ci dice due cose: la prima è che noi abbiamo un pregiudizio da scardinare, vale a dire la nostra convinzione che ai bambini piacciano solo la pizza la lasagna e i bastoncini. Ma scopriamo che quando i piatti di verdura o legumi vengono cucinati bene, con ricette gustose, serviti caldi, anche questi cibi conquistano il gradimento dei bambini. Questo permette di plasmare il palato su alimenti buoni e sani il che rappresenta una protezione importante per la loro salute oggi e domani.

La seconda cosa mostra chiaramente che le mense che hanno un approccio industriale prediligono cibi processati educando, inevitabilmente, il palato dei bambini intorno a gusti artefatti dal mercato, mentre chi ha un approccio legato alle cucine e impiega cuochi che hanno la competenza per cucinare piatti gustosi e sani sono in grado di conquistare il gradimento dei bambini anche rispetto a ‘cibi difficili’ come verdure e legumi.

La nostra è una sintesi che richiede necessariamente una semplificazione, perché in questa contrapposizione di modelli di mensa ci sono anche realtà che mantengono le cucine ma non ne sfruttano appieno le potenzialità, come Terni, e cucine industriali come quella di Sesto Fiorentino, che grazie ad un uomo Slow Food, come Antonio Ciappi ha eliminati i piatti processati ed ha introdotto ricette di qualità e frittate cotte con uova fresche. 

Passiamo ad un confronto in termini di modelli di mensa, cioè sull’idea di ristorazione scolastica che è alla base del servizio e quindi della qualità dei piatti e dei menu. Non posso non parlare di Cremona che per due anni consecutivi si è posizionata al primo posto del Rating di Foodinsider. Silvia Bardelli è la regista della mensa scolastica di questa città dove, sin dal 2007 quando sono uscite le raccomandazioni del WCRF, si è iniziato a portare sulla tavola dei bambini cereali integrali, più legumi e verdure. Questa scelta è stata fatta per un profondo senso responsabilità sul ruolo che deve avere la mensa nel nutrire ed educare i bambini in occasione del pasto a scuola. Silvia Bardelli per introdurre questi nuovi piatti ha lavorato su due leve: formare i cuochi e coinvolgere le insegnanti nell’accompagnare il cambiamento. Solo avviando un processo di formazione e facendo squadra con i principali attori della mensa si poteva ottenere un’accettazione dei nuovi piatti da parte dei bambini. Così è stato: una formazione costante e continua dei cuochi sui temi legati ad una corretta alimentazione e poi sugli aspetti gastronomici. In questo modo si è arrivati ad avere un menu, anzi due menu, uno standard e uno ancora più salutare con piatti decisamente fuori dal comune per un servizio di ristorazione scolastica.

Il risultato di questo percorso di 12 anni si legge anche nella qualità dei piatti che vedete esposti nella tabella dei menu.

All’interno del nostro Rating tra i primi 5 classificati abbiamo provato a trovare degli aspetti comuni e ad individuare i driver della qualità. Non ho il tempo parlare di ciascuna di queste realtà, ma vorrei farvi notare Mantova dove uno dei driver della qualità, oltre al fatto di avere un Comune molto sensibile ai temi dell’alimentazione, è l’ATS. A Mantova non c’è un menu standard, come hanno generalmente tutti i Comuni, ma ogni scuola compone il suo menu attraverso le commissioni mensa che hanno a disposizione un manuale d’uso che spiega i criteri per impostare un menu equilibrato. Per capire meglio come funziona Mantova bisogna parlare con Chiara Bassi una biologa nutrizionista estremamente sensibile e competente che lavora presso dell’ATS Valpadana che racconta di un modello di mensa unico in Italia dove il capitolato lo ha scritto l’ATS al fine di garantire la buona qualità delle materie prime. Ma non solo. L’ATS ha scritto il ricettario dove si trovano 200 ricette buone e sane, tra le quali si trovano anche i dolci, ma senza zucchero. L’ATS a Mantova definisce la qualità delle materie prime, dei piatti e fa formazione alle commissioni mensa attraverso un manuale d’uso necessario ai genitori per comporre i menu.

Un’altra realtà straordinaria, non tanto per il menu che si posiziona all’interno della nostra classifica nella fascia della ‘sufficienza’, ma per il modello di mensa legata al territorio è Piacenza. In questo Comune da 15 anni si è costituito un consorzio di produttori locali che ha convertito la propria produzione da convenzionale a biologico per rifornire la mensa. Lo ha fatto per rispondere alla gara d’appalto indetta dal Comune che premiava con il massimo punteggio le aziende che fornivano materie prime locali biologiche. Risultato? La mensa delle scuole di Piacenza e della provincia, insieme all’ospedale, mangiano prodotti locali biologici e questo fatto ha una duplice valenza, una sulla salute dei bambini e una sull’economia del territorio. Lo ha confermato Giovanni Sala, che è il coordinatore del consorzio piacentino, che sostiene che in occasione della crisi, avvenuta intorno agli anni 2009/10, molti produttori locali sono stati costretti a chiudere, ma non quelli che facevano parte del consorzio per la mensa che è stata capace di mantenere il tessuto produttivo locale.

Caggiano è una realtà strepitosa in provincia di Salerno. E’ diventato un caso di studio a livello europeo. In questa realtà il Sindaco, che ha lo stesso nome del Comune, ha voluto promuovere lo sviluppo del territorio, di vocazione rurale, attraverso la mensa scolastica. Il Sindaco ha ingaggiato l’Università del Molise e l’ASL locale per fare in modo che i genitori potessero conferire i propri prodotti dell’orto per la mensa. E’ stato definito un modello validato dall’ASL che trasforma le famiglie i fornitori diretti della mensa a cui conferiscono, per esempio, le olive che portano nel frantoio locale dove vengono trasformate in olio poi utilizzato in mensa. Si possono conferire anche pomodori per la passata di pomodoro che viene fatta in un laboratorio locale ed etichettata con il logo del comune e diventa un prodotto per la mensa; così anche patate, ceci e fagioli possono diventare materie prime a filiera cortissima per i bambini della scuola. Risultato di questo modello è molteplice: i genitori pagano in relazione a quanto conferiscono, con una netta riduzione dei costi, il territorio si arricchisce di biodiversità e si crea una comunità intorno alla mensa.

Caggiano è un esempio che, probabilmente, può valere solo per piccole realtà rurali, ma che rappresenta una nuova idea di mensa dove il coinvolgimento delle famiglie è possibile, non solo formalizzato a livello istituzionale, ma promosso come valore per il territorio, per la salute dei bambini favorendo l’accessibilità del servizio alle famiglie.

Campolongo è un progetto che è partito all’inizio del 2000 grazie ad un gruppo di genitori “bionsensibili” che hanno chiesto di cambiare un servizio mensa molto diffuso in quel periodo che i bambini non gradivano per niente. Il cibo era preparato con prodotti da agricoltura convenzionale servito in monoporzione sigillata: una vaschetta di plastica per ciascuna portata, con cibo preparato ore prima, sigillato a caldo, mantenuto ad alte temperature fino al consumo. Quando i bambini sollevavano la pellicola c’era tutta la condensa che scivolava giù, un odore spesso nauseabondo! Risultato: una quantità di avanzi  impressionante, anche oltre il 60%.  Di fronte ad una situazione così triste questi genitori hanno contattato il Comitato Genitori di Padova, che da anni si occupava del miglioramento delle mense e organizzava corsi sull’alimentazione, con i quali hanno fatto rete. Poi hanno consolidato una richiesta che hanno sottoposto al sindaco che aveve l’obiettivo di promuovere dei miglioramenti del servizio in questi termini:
a) fornire agli alunni pasti nutrizionalmente validi, graditi e preparati con ingredienti da agricoltura biologica;
b) ridurre l’impatto ambientale complessivo del servizio e ridurre i rifiuti prodotti dalla mensa scolastica;
c)  sensibilizzare alunni, insegnanti, operatori e famiglie sulla questione ambientale.

Dal 2001 il Sindaco e l’assessore competente hanno promosso e sostenuto i miglioramenti richiesti dai genitori. All’inizio il cibo biologico è stato servito in mensa in monoporzione e successivamente si è passati allo scodellamento in stoviglie monouso (piatti di plastica o vassoi multiporzioni).
Con la gara d’appalto aggiudicata per il triennio 2004/2006 si è fatto un grande salto di qualità. D’un colpo, sono state eliminate le stoviglie monosuo, mantenuto lo scodellamento del cibo biologico e fatto un grande lavoro sul menu che doveva essere vario e appetitoso. ll’inizio il pasto (tutto compreso, cioè pasto biologico al 95%, servizio scodellato al tavolo secondo l’ordine, non tutto insieme come nel self-service, incluso il lavaggio delle stoviglie durevoli)  costava in media 6,30 € + Iva. Nel 2014 l’appalto ha messo insieme sei Comuni della Riviera del Brenta, per lo stesso tipo di servizio cui si è aggiunta la gestione dei buoni pasto: è stato aggiudicato a luglio 2014 al prezzo di € 4,95 + Iva a pasto con una netta riduzione di costo per le famiglie.

Quando Michela Facchinetti ha raccontato questo modello di mensa in occasione di una conferenza a Genova, quattro anni fa, alla fine del suo speech si alzò un signore che si presentò come Assessore di un paese della provincia che stava per avviare il nuovo bando per la mensa. Raccontò che da una parte aveva i consulenti tecnici che gli avevano consigliato il centro cucina unico e dall’altra i genitori che premevano per avere almeno il 60% di biologico. L’Assessore chiedeva se fosse stato possibile mettersi in contatto con Michela Facchinetti funzionario di Campolongo e Paola Trionfi, responsabile per Aiab della ristorazione collettiva, (anche lei relatore alla conferenza) per provare a valutare un progetto più innovativo e interessante rispetto a quello attuale, sul modello di Campolongo.

Dopo un anno e mezzo l’Assessore Gabriele Taddeo è stato intervistato dalla trasmissione’Indovina chi viene a cena’ di Report, insieme agli assessori di altri 5 comuni con i quali si era consorziato creando un modello virtuoso di mensa che anziché chiudere le cucine ne aveva costruita una in più, introducendo il 95% di biologico, privilegiando prodotti a filiera corta e un menu più salutare.

Come era stato possibile arrivare a questo risultato?

Mensa virtuosa = effetto contagio from cmpanzini on Vimeo.

L’assessore si è esposto al confronto, si è reso conto che c’erano altri modelli di mensa a cui riferisi, ha affrontato un percorso di formazione multidisciplinare dove ha coinvolto tutti gli assessori e funzionari dei 6 comuni e insieme hanno ridisegnato una un nuovo modello di mensa. Si sono svolte almeno 40 riunioni con tutti i funzionari di paesi del consorzio insieme a Paola Trionfi e Michela Facchinetti ed altri esperti ed interlocutori del territorio, che hanno permesso di ampliare la prospettiva e alimentare un know how che è stato determinante per costruire un servizio di ristorazione scolastica più complesso ma che ha portato valore anche al territorio e alle famiglie con un vantaggio economico per uno dei comuni che si è visto abbassare la tariffa pasto.

Questa esperienza insegna che è necessario aprirsi al confronto e alimentare una competenza più ampia per arrivare a progettare un modello di mensa che non solo garantisca salute ai bambini ma sia motore di sviluppo del territorio e crei una comunità intorno al cibo. Questo modello conviene di più di quello attuale dove la mensa è valutata solo in termini di costo. Conviene alle amministrazioni che conquistano maggiore consenso da parte della cittadinanza, conviene ai produttori locali che trovano nella mensa un’opportunità e garanzia di sviluppo, conviene alla salute dei bambini e del territorio, conviene alla collettività perché alimenta fiducia nelle istituzione con le quali dialoga e partecipa in qualità di principale stakeholder del servizio di ristorazione scolastica.

Il nostro auspicio è che nella prossima occasione che avremo di promuovere le best practice italiane, magari fra un anno, ci troveremo a parlare anche del ‘modello Arezzo’, un comune dove il confronto voluto dai genitori ha innescato una nuova dialettica capace di coinvolgere tutti gli attori che ruotano intorno alla ristorazione scolastica costruendo un progetto di mensa virtuosa invidiata da tutto il mondo. Questo è il nostro auspicio.