Niente acqua nelle caraffe per i bambini con il pasto da casa, anzi Sì. Questo era quanto emergeva dopo la votazione tenutasi in sede di Consiglio Comunale a Torino lo scorso 6 febbraio poi rettificata dall’Assessore Federica Patti che è intervenuta e ha contattato le aziende del servizio ristorazione per chiedere di somministrata l’acqua nelle caraffe a tutti, non solo a chi è iscritto alla mensa.
Il dilagare del pasto da casa a fronte di un costo mesa inaccessibile a molte famiglie ha innescato una guerra che fa uso di molti scudi. Uno di questi è, appunto, la tutela del lavoro che ha spinto a bocciare una serie di emendamenti che avrebbero consentito di avere delle maggiori garanzie di trasparenza e qualità nel nuovo appalto della refezione scolastica, quindi a favore di tutti i bambini torinesi, e di garantire alcuni servizi essenziali ai bambini con il pasto da casa.
Un intervento, quello dell’Assessore Patti, che si è reso necessario per tranquillizzare i genitori dopo che il gruppo Cinque Stelle del Comune ha votato contro un emendamento che chiedeva di inserire nel prossimo appalto per la ristorazione scolastica il consumo dell’acqua dalle caraffe per tutti i bambini, anche per quelli che non usufruiscono del servizio mensa.
Gli emendamenti bocciati lunedì scorso minano una serie di diritti che si pensavano acquisiti: ai bambini con il pasto da casa non è garantito mangiare insieme ai propri compagni in mensa (bocciato l’emendamento che chiedeva di garantire l’uso promiscuo del refettorio), né il consumo dell’acqua delle caraffe, né l’uso dei cestini per i rifiuti.
Se i genitori che usufruiscono del servizio mensa possono costituirsi in commissioni mensa e fare regolari ispezioni in refettorio per controllare qualità e modalità del consumo in refettorio, ai genitori dei bambini con il pasto da casa non è permesso alcun monitoraggio. Respinta, infatti, la mozione per costituire una commissione di genitori dei bambini con il pasto da casa per poter controllare che il consumo del pasto domestico avvenga in condizioni idonee nel rispetto della sentenza della Corte d’Appello e delle ordinanze del Tribunale di Torino e delle disposizioni dettate dall’U.S.R. del Piemonte.
Eppure il nocciolo della questione non dovrebbe essere quello di mettere in difficoltà le famiglie dei bambini con il pasto da casa, ma di risolvere il problema da cui ha origine la guerra del panino: il rapporto costo/qualità della mensa scolastica torinese. Anche su questo tema non emerge l’intenzione del Comune di intervenire sulle tariffe che a Torino sono tra le più alte d’Italia: bocciato l’emendamento che chiedeva di ridurre la tariffa di 7,21 euro (5,60 a pasto + 302 d’iscrizione al servizio) sotto la soglia dei 5 euro.
La bocciatura di questi emendamenti rischia di alimentare quella guerra del panino che dilaga in tutta Italia e che contrappone, da una parte i Comuni spesso alleati delle aziende di ristorazione scolastica, con le quali, in alcune realtà, condivide interessi in società partecipate, e dall’altra, le famiglie più deboli, esposte alla crisi economica, ma anche quelle più sensibili alla qualità dell’alimentazione, fonte di salute per i propri figli, che la mensa non sembra più garantire.
Lavorare sugli indicatori di qualità e costo della mensa scolastica sarebbe, piuttosto, un modo concreto per affrontare e, magari, risolvere i problemi all’origine di questa contesa. Concentrare energie e risorse per rendere la mensa scolastica buona ad un costo accessibile può trasformarla in oggetto del desiderio delle famiglie e nel fiore all’occhiello di un Comune che può raccogliere consenso, alimentare una continuità politica a livello amministrativo e sviluppare economia e lavoro sul territorio. L’adozione di scelte politiche che discriminano i bambini con il pasto da casa, adducendo come motivo la difesa del lavoro, non fa altro che alimentare il conflitto che porterà ad un irrigidimento delle posizioni, innescando un clima ostile all’interno delle scuole che non fa bene a nessuno, soprattutto ai nostri figli.