Ancora un’estate calda per la mensa scolastica. Nel giugno dello scorso anno la sentenza della Corte di Appello di Torino ha affermato il diritto al pasto da casa in alternativa al servizio di refezione, diritto confermato da successive ordinanze che si sono susseguite a posteriori in diverse città d’Italia. Con l’avvio dell’anno scolastico 2016/17 è iniziato un progressivo esodo dalla mensa scolastica da parte di un’utenza che ha preferito rifugiarsi nel ‘panino’ piuttosto che consumare un pasto costoso e indigesto. Eppure, in parallelo all’esodo, sono stati registrati alcuni timidi segnali di cambiamento in termini di qualità e costo. L’effetto del pasto da casa si è dimostrato, in alcuni casi, più efficace degli scioperi del panino ingaggiati dai genitori per contestare costi insostenibili di una mensa poco gradita.
A Bergamo è migliorata la qualità del menu, passato dal 13° posto al 6° nel Rating ed è stato ridotto il costo pasto (per chi dichiara Isee basso), due aspetti che hanno determinato un aumento degli iscritti al servizio mensa; ad Imperia e ad Aosta sono state ridotte le tariffe, a Milano è stata introdotta la pasta biologica, a Perugia il nuovo appalto condiviso con i genitori ha innalzato la qualità delle materie prime senza ricadute sul costo pasto, a Lamporecchio (provincia di Pistoia) la mensa è stata internalizzata consentendo una riduzione della tariffa del 30%.
E’ l’avvio di un nuovo trend, in controtendenza rispetto al processo di declino della mensa che è andato a braccetto, per anni, con l’aumento delle tariffe. La concorrenza dei genitori con il pasto da casa rappresenta una grave minaccia per fornitori e per i Comuni: da una parte le Amministrazioni rischiano di non poter onorare i contratti con i fornitori i quali, a loro volta, rischiano di vedere erosi i propri margini.
Il DDL 2037 sulle mense scolastiche, in discussione presso la Commissione 9, s’inserisce in questo contesto e introduce disposizioni che sembrano andare in soccorso del mercato e dei Comuni.
A luglio viene aggiunto al testo del decreto un emendamento al comma 1 dell’art. 5 del DDL 2037 che recita: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”, che trasforma la mensa scolastica in servizio obbligatorio.
Ad agosto viene pubblicato su Ilfattoquotidiano un articolo che rileva il ‘copia e incolla‘ di alcuni testi del DDL attinti dal documento di Angem, la lobby delle aziende di ristorazione collettiva. Lo scoop alimenta il sospetto che questo decreto serva più per tutelare gli interessi delle aziende di ristorazione scolastica piuttosto che la salute dei bambini e la qualità dei pasti.
I genitori del movimento ‘Caro mensa Torino‘, che sostengono il diritto al pasto da casa, insorgono e propongono alcuni emendamenti per disciplinare la coesistenza del pasto domestico con il servizio di ristorazione scolastica all’interno del refettorio.
Per fare chiarezza sul fronte giuridico, interviene l’avv. Cinzia Olivieri, legale esperto di tematiche riguardanti la scuola, la quale pubblica due articoli su Orizzontescuola e su Educazione&scuola che mettono in evidenza alcune incongruenze nel decreto.
Il primo aspetto che ‘appare singolare’ secondo l’avvocato Olivieri è che ‘un servizio [la mensa scolastica] avente ad oggetto “l’attività di approvvigionamento, preparazione, conservazione, distribuzione e somministrazione di pasti, definita da un contratto stipulato tra il fornitore del servizio e un soggetto privato o una pubblica amministrazione in qualità di committenti” (art. 2 comma 1 lett. a)) assurga a “parte integrante” di attività formative ed educative, giacché sarebbero da esplicitare i profili pedagogici di un appalto di servizi a pagamento.’
Il percorso logico e giuridico che ripercorre l’avvocato Olivieri riprende alcuni aspetti legali che disciplinano il tempo scuola, e con esso la mensa scolastica, evidenziando alcuni punti cardine:
- il Dlgs 59/04, stabilisce che le “Attività educative e didattiche” nella scuola primaria e secondaria di primo grado, sono gratuite.
- ‘Il tempo mensa dunque è tempo scuola “eventualmente” occorrente “per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche”
- ‘[…] non può che desumersi che un servizio mensa obbligatorio, […],dovrebbe essere gratuito, al pari degli altri segmenti del tempo scuola.
- ‘Tanto però non risulta previsto dal ddl 2037. Anzi è stato presentato un emendamento con cui si “impegna il Governo: a porre in essere, nell’ambito delle proprie competenze, appositi atti al fine di prevedere che il costo del pasto a carico dell’utente del servizio di ristorazione non sia superiore ai 5 euro”.’
Quindi, da una parte il decreto stabilisce l’obbligatorietà della mensa che, di conseguenza, dovrebbe diventare un servizio gratuito, al pari degli altri segmenti del tempo scuola, dall’altra, invece, stabilisce un tetto di costo pari 5 euro. L’intento è quello di rendere più omogeneo il costo pasto in tutte le regioni d’Italia, ma in realtà introduce il rischio di un aumento delle tariffe in quei Comuni come, ad esempio, Roma e Milano dove i genitori pagano, al massimo, 4 euro.
Il decreto è molto concentrato a sollecitare azioni per ridurre gli sprechi quantificati in 87.000 tonnellate che il testo di legge riferisce ‘ad una errata impostazione dei menu previsti nei capitolati d’appalto sia in termini quantitativi, sia in termini di gradimento‘. Il testo di legge ammette lo scarso apprezzamento dei piatti nelle mense scolastiche, ma non esplicita le ragioni di fondo. Non si fa cenno alla progressiva chiusura delle cucine interne alle scuole, ai cibi precotti, ai processi industriali per la preparazione dei pasti veicolati che hanno sancito la morte del gusto. Si prendono di riferimento i documenti di Angem dove si parla di un settore dove ci sono 51.000 occupati, ma ci si dimentica dei 10.000 posti persi negli ultimi 15 anni per costruire un sistema di mensa industriale dove non si elaborano più ricette, ma si privilegia il cibo ‘scarta, scalda, trasporta e servi’. Mentre il Green Public Procurement difende la cucina di prossimità per ‘salvaguardare le caratteristiche nutrizionali e organolettiche dei pasti’ ed evitare il ‘cibo morto’ delle cucine industriali, nel DDL 2037 s’introduce un ‘indice di particolare rilievo’ per le scuole dell’infanzia e primaria costituito dall’impiego di ‘appositi locali attrezzati all’interno di strutture scolastiche per la preparazione dei pasti in loco’. Indice che, però, non viene inserito nei criteri di qualità premianti nella selezione dell’offerta in sede di gara.
Tra i criteri dell’appalto il decreto cerca un buon equilibrio tra offerta più vantaggiosa e qualità. Vengono inseriti parametri qualitativi che mirano alla valorizzazione degli alimenti a filiera corta, dei prodotti biologici e a basso impatto ambientale. Il decreto non entra, pero’, nel merito dei sistemi di controllo degli approvvigionamenti che rappresentano l’anello debole del servizio di ristorazione scolastica. Dopo che l’inchiesta dei Nas ha evidenziato che una mensa su quattro ‘non è conforme’, rilevando principalmente il reato di ‘frode in pubbliche forniture’ ci si aspettava un capitolo intero su sistemi efficaci e indipendenti di controllo delle forniture, con tanto di impianto sanzionatorio. Vincere un appalto con punteggi che premiano l’offerta di 100% biologico a filiera corta e poi non avere sistemi di controllo che verifichino che la fornitura, invece, non sia di prodotti convenzionali provenienti dall’estero, non dà reali garanzie di miglioramento della qualità delle materie prime. Questa disattenzione verso forme di controllo si era già notata con la tardiva introduzione delle commissioni mensa, inserite con un emendamento che parla genericamente di ‘monitoraggio del servizio’. Non viene specificato il ruolo delle commissioni mensa (genitori e docenti) che invece si è dimostrato essere determinante nelle realtà che funzionano, come Perugia, dove i genitori hanno preso parte nella definizione dei capitolati, così come nella scelta dei fornitori e dove la mensa coniuga qualità (80% biologico, cucine sul territorio) e costi accessibili a tutti (2.50 euro).
Il decreto sembra essere un’occasione persa per migliorare la mensa e renderla appetibile lavorando su quegli aspetti che hanno determinato il suo declino: cucine industriali, gare al ribasso e assenza di controlli. Sulle cucine non sono stati inseriti criteri che ne definiscono la dimensione (numero dei pasti per cucina al giorno) e la distanza dalle scuole, parametri che in sede di gara potrebbero premiare fornitori che adottano cucine a dimensione tradizionale ed in posizione di prossimità, rispetto ad altri che concentrano la produzione in poche cucine industriali. Sui criteri premianti la qualità un miglioramento c’è ed è apprezzabile, ma in assenza di regole chiare che impongano sistemi di controllo efficaci, rischiano di essere insufficiente. Nelle mense scolastiche italiane l’esperienza insegna che ‘la qualità è nulla senza controllo’.
Carenze dovute ad un’assenza di competenza del legislatore o volutamente dimenticate? Per l’avvocato Olivieri la risposta risiede nel vero obiettivo del decreto che non è quello di rendere la mensa migliore, appetibile, accessibile e quindi ambita dall’utenza, ma ‘negare il diritto di scelta al pasto domestico’ rendendola obbligatoria.
La percezione che il decreto sia stato scritto da chi vuole tutelare gli interessi del mercato si coglie non solo nel testo, o nei copia e incolla, ma anche, e soprattutto, nella carenza di quelle regole che potrebbero incidere nel garantire la qualità dei cibi offerti in mensa, il consumo e il gradimento dei piatti e, di conseguenza, la riduzione naturale degli sprechi.