Lettera aperta a tutti i dirigenti scolastici di Brindisi che da questo lunedì non permettono più ai bambini di consumare il “pasto da casa” a scuola
Quando per la prima volta, qualche giorno fa, ho potuto preparare la mia prima “schiscetta” di protesta per mia figlia, ero al settimo cielo; Costo? Meno di un terzo di ciò che pago a mensa! Qualità? Nettamente migliore della mensa. Questo è quello che hanno pensato quei genitori che lottano da anni per una mensa migliore, ma che trovano nel “pasto da casa” l’unica risposta possibile, oggi, per avere un cibo buono e sostenibile a scuola.
La scelta del ‘pasto da casa’ ha avuto origine da una serie di fatti da cui è emersa una mensa inadeguata e incapace di garantire aspetti igienico-sanitari di base. Ne hanno dato ben evidenza i giornali locali di Brindisi che si riempivano di ogni genere di articoli e foto: il verme mozzato nel piatto del bambino, orecchiette ammuffite, scarafaggi, capelli nel piatto, contenitori adibiti alla conservazione dei pasti non adeguatamente puliti, scarafaggi, ecc.
Noi genitori ci chiediamo spesso: l’ASL che fa? Qual è il suo ruolo nei controlli? E perché i menu della mensa scolastica sono così inadeguati rispetto alle Raccomandazioni dell’OMS?
Abbiamo dovuto aspettare due anni prima di riuscire ad incontrare la nutrizionista dell’ASL di Brindisi (oggi in pensione) a cui, dal comitato mensa di Mesagne, un comune in provincia di Brindisi, abbiamo chiesto di aggiornare la qualità dei menu alle raccomandazioni dell’Organismo Mondiale della Sanità.
Il risultato di questo incontro si legge in una lettera dell’ASL di Brindisi: “ …… in riferimento alle indicazioni proposte dal Comitato Mensa su sostituzioni di alcune pietanze, si precisa che scopo principale della mensa scolastica è fornire un menù equilibrato e vario, nel rispetto delle tradizioni del nostro Paese, […] Pertanto, non è possibile accettare tutte le proposte del suddetto Comitato……”. Per rispetto delle tradizioni del nostro Paese s’intendeva: focaccia, prosciutto cotto e tortellini… Nulla è cambiato con il nuovo nutrizionista dell’ASL, che ha ribadito che i menu “ …. vanno bene così come sono”.
Dopo quattro anni di ‘mensa inadeguata’ non sono necessari risultati delle analisi dei NAS o dell’ASL per capire che, da parte delle Istituzioni, ci sia una totale disattenzione per i nostri bambini, per la loro salute e la loro educazione.
Quello che, invece, sta cambiando intorno alla ‘questione mensa’ è la crescente consapevolezza dei genitori dell’importanza di un pasto buono e sano a scuola per la crescita dei nostri figli, ma soprattutto sicuro e consumato in un ambiente salubre. Consapevolezza che genera il rifiuto della mensa così com’è oggi; meglio piuttosto un pranzo al sacco che, sappiamo non essere la soluzione, ma, al momento, è l’unica arma di cui disponiamo per evitare di pagare per un servizio che riteniamo inadeguato.
La risposta dei dirigenti scolastici non si è fatta attendere “…. essendo a scuola un solo docente che svolge il suo orario di servizio durante il servizio mensa, la vigilanza di attività diverse dalla partecipazione al servizio mensa non può essere garantita. Cionondimeno, per quanto il momento del pasto sia un momento educativo e formativo rientrante nelle attività scolastiche, i genitori sono nella piena facoltà di decidere di non usufruire del servizio mensa, prelevando i propri figli per pranzo e riaccompagnandoli a scuola per le attività pomeridiane.”
La domanda che sorge spontanea è: “Ma chi ha stabilito che i bambini con il pranzo al sacco debbano essere separati dai bambini che usufruiscono del servizio mensa?”
Molte scuole, dopo la sentenza di Torino, che ha dato il via libera al “pasto da casa”, stanno ancora studiando come affrontare le richieste di chi non vuole usufruire del servizio mensa. Alcuni dirigenti reclamano una risposta dal ministero dell’Istruzione e quello della Salute, l’ANCI, l’associazione dei Comuni, chiede indicazioni su come comportarsi. Altre città, invece, hanno affrontato le richieste di chi non vuole usufruire del servizio mensa e hanno trovato soluzioni di coesistenza del pasto misto all’interno del refettorio, redigendo liberatorie e regolamenti per il consumo del pasto da casa.
I dirigenti delle scuole di Brindisi, invece, si arroccano su una posizione di chiusura che mette in difficoltà le famiglie e, aspetto ancor più spiacevole, lo fanno senza neanche ascoltare le richieste dei genitori; quando invece, dal confronto, potrebbe emergere che le nostre istanze potrebbero coincidere con le loro.
Magari scopriamo che entrambi siamo interessati a ripristinare le finalità di un servizio mensa che non nasce solo per favorire lo svolgimento dell’attività didattica scolastica nelle ore pomeridiane, ma anche per integrare il tempo del pasto come momento educativo, per attuare un’educazione alimentare per una corretta nutrizione nel rispetto delle norme igienico-sanitarie. Un momento, dunque, da vivere come esperienza di didattica quotidiana in cui apprendere a rapportarsi con il cibo, e con l’ambiente in genere, in modo consapevole e critico perché diventi una competenza da spendere in famiglia e nel gruppo sociale.
Questo è un obiettivo comune a tutti, istituzioni e famiglie, che però, allo stato delle cose questo ‘momento educativo’ di cui voi parlate, proprio ci sfugge.
Quello che chiediamo ai dirigenti delle scuole è un confronto aperto e costruttivo che consenta di trovare soluzioni per consentire il consumo del pasto da casa in refettorio in attesa che la mensa possa tornare ad essere un ‘occasione imperdibile’ per qualità del cibo, equilibrio dei menu e come importante momento educativo all’interno della scuola.
Un cordiale saluto
Le mamme del “pasto da casa” e del movimento “Cambiamo la mensa Mesagne Brindisi”