Era il 2015 quando Massimo Bottura avviava un magnifico progetto di mensa dove si cucinavano gli avanzi. Dalle sollecitazioni culturali e dalla conoscenza che emergeva da Expo è nato il sogno della mensa dei poveri con il cibo non consumato in fiera. Un progetto, food for soul, che Bottura ha reso possibile coinvolgendo 65 chef internazionali che hanno recuperato alcuni ingredienti in esubero dai vari padiglioni espositivi di Expo da trasformare in pasti per i più bisognosi. Così è nato il refettorio Ambrosiano un posto dove gli avanzi diventano risorsa. La leva, dice Bottura, è stata la conoscenza che apre alla coscienza e al senso di responsabilità.
“Ho visto un rapporto della Fao nel quale si diceva che 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno, praticamente, recuperando questo cibo, si potrebbero sfamare quattro volte i più bisognosi del pianeta”.
Le iniziative al mondo per ridurre lo spreco alimentare si sono moltiplicate negli ultimi anni e con esse le leggi. In Francia nel 2015 è stata emanata una legge che sostanzialmente istituisce, per i supermercati sopra i 400 metri quadrati, il “reato di spreco alimentare” mentre in Italia è arrivata la legge anti-spreco alimentare (Legge Gadda) che regola le donazioni degli alimenti invenduti, o in avanzo nei contesti come quelli della ristorazione collettiva, semplificando le procedure e gli oneri stabilendo la priorità del recupero di cibo a favore delle persone più povere del nostro Paese.
Quando si parla di mensa scolastica il tema degli sprechi è molto sentito perché i dati sono drammatici, che si parla di quasi 1/3 dei pasti che viene scartato, che corrisponde a circa 90 grammi di cibo per ogni studente, a pasto. Ma sugli sprechi si può ragionare anche all’incontrario, e forse varrebbe la pena farlo: vale a dire non solo pensare a come rimettere in circolo gli avanzi, ma, piuttosto, come non produrne. La questione è complessa perché ha molte implicazioni che attengono alla qualità degli ingredienti, l’appetibilità delle ricette, il degrado degli aspetti organolettici del cibo veicolato, fino alla questione delle porzioni.
Eppure ci sono semplici soluzioni che si possono adottare per evitare gli sprechi ed incentivare il consumo in mensa. Uno di questi lo ha studiato una dottoressa in Scienze Tecniche Dietetiche, Vanessa Giardinallo dell’Università di Torino, che ha affrontato il tema degli sprechi nella sua tesi di dottorato, dimostrando come questi possono diminuire se nella pausa di metà mattina si mangia la frutta piuttosto che la merenda portata da casa. Si tratta di uno studio oggettivo che ha preso in esame due scuole con lo stesso servizio di ristorazione e lo stesso menu, in posizioni territoriale limitrofe, dove in una le classi aderivano al progetto frutta a metà mattina, mentre l’altra no. La conclusione della dott.ssa Giardinello è che la scelta di spuntini salutari (a base di frutta) è risultata vincente nel facilitare la riduzione degli scarti del pranzo e avviene quando l’insegnante ha una formazione adeguata. Considerazione che sembra sostenere che la scelta della frutta in una scuola si fa se il corpo insegnante ci crede e ne riconosce il valore da associare ad un corretto stile alimentare. Un requisito fondamentale che vale anche in refettorio quando si chiede ai bambini, spesso ostili al cibo della mensa, almeno l’assaggio della pietanza. Un assaggio non forzato, ma che rientra in quell’educazione alimentare che presuppone lo stimolare la curiosità verso nuovi sapori che rappresentano i diversi nutrienti di cui il corpo ha bisogno per crescere.
Contro lo spreco è centrale il ruolo dei cuochi non solo per l’appetibilità dei piatti, ma anche per la scelta delle ricette e i processi di produzione. Antonio Ciappi, cuoco gastronomo della mensa scolastica di Sesto Fiorentino ha introdotto, per esempio, la pappa al pomodoro che fa con il pane avanzato del giorno prima, oppure il passato di verdura fatto con le parti esterne delle verdure, quelle foglie che generalmente si buttano via, ma che in realtà contengono le maggiori vitamine e fibre vegetali. Due piatti che utilizzano gli scarti in cucina o in mensa per produrre nuovi piatti, riprendendo la tradizione locale e la sensibilità ‘alla Massimo Bottura‘.
L’appetibilità rimane la chiave per evitare gli sprechi in mensa. Lo dimostrano alcuni progetti, come quello del Sant’Orsola, la mensa ospedaliera di Bologna, che ha avviato un progetto per valorizzare la cucina centralizzata. Si tratta di un’iniziativa avviata già da un anno, che ha puntato a migliorare la qualità della materie prime, rivisitare ricette, le tecniche di produzione dei pasti, tutto all’interno di un processo di razionalizzazione dei costi che ha reso questa metamorfosi economicamente sostenibile.
Il risultato si è visto nel gradimento e quindi nella riduzione degli avanzi passati dal 30%-50% a 0%-10% grazie anche, o forse, soprattutto, ad un percorso di formazione dei cuochi dell’ospedale che sono andati a all’Università di Pollenzo per rivedere processi produttivi, appetibilità dei piatti secondo una logica di gusto e sostenibilità. Un altro esempio di come la competenza dei cuochi può incidere direttamente sul gradimento e sulla conseguente riduzione degli scarti con effetti sul benessere delle persone e salute del pianeta.