Arancini di riso semintegrale ripieno di zucca e piselli, insalata con lattuga rucola e pere, spaghetti bio con le vongole, polpettine di ceci con erbette aromatiche, pasti al 90% biologici e a km0. Non è il menu di un ristorante, ma alcuni dei piatti proposti in una mensa autogestita dai genitori. Il risultato si riassume in: ‘spendo meno e mangio meglio’ che sembra essere la parola d’ordine di quelle realtà che sfuggono alla mensa istituzionale perché non in linea con le regole di una buona e sana alimentazione oppure perché troppo cara.
Si fugge dalla mensa per lo più con il pasto da casa, soluzione individuale che ha raggiunto una certa massa critica in alcune città, come a Torino, ma non sembra essere l’unica soluzione possibile quando il Comune non mette rimedio alle criticità della ristorazione scolastica. L’evoluzione sembra essere la mensa alternativa autogestita. Un modello che punta a riposizionare la mensa nel suo ruolo originario: un pasto buono ed economicamente accessibile a tutti.
Succede a Civitanova Marche dove i genitori dopo aver accertato che il menu della mensa ‘era sbilanciato’, e aver fallito nel tentativo di chiedere un cambiamento al Comune, hanno deciso di fare una scelta scomoda, ma che premia la salute e il portafoglio: cibo di qualità, piatti sfiziosi ad un costo inferiore. Così succede che all’ora di pranzo alcuni bambini escono da scuola per andare a mangiare assieme, in uno spazio alternativo al refettorio, un pasto autogestito dai genitori, per poi rientrare a scuola per le attività pomeridiane.
Lo stesso è successo in provincia di Napoli, a San Giorgio a Cremano, dove l’iniziativa non è dei genitori, ma del Dirigente scolastico che a fronte di una tariffa che penalizzava le famiglie non residenti, che sono una parte consistente degli studenti della scuola, decide di mettere a disposizione dell’utenza un servizio di refezione scolastica interno alternativo, non in contrasto con quello offerto dal Comune. La preside ha risolto in questo modo una situazione di ‘disuguaglianza’ che ha permesso di salvaguardare il diritto di scelta della scuola svincolandola da maggiori oneri di costo imputabili ad una mensa ‘per non residenti’. Nell’ambito dell’autonomia scolastica l’Istituto Comprensivo IV Stanziale ha indetto una propria gara d’appalto, definendo i parametri qualitativi e un prezzo massimo del pasto, 2.50 euro. E’ stato selezionato un fornitore e proposto un pasto ad un costo inferiore a quello che fornisce il Comune, così da agevolare l’accesso al servizio di refezione scolastica a tutte le famiglie, indistintamente dall’ambito di residenza.
In questo modo i problemi irrisolti della mensa, costo e qualità, sono stati superati da soluzioni alternative che però sono osteggiate dalle istituzioni. Una concorrenza scomoda perché dimostra che mangiare meglio e spendere di meno si può.