Secondo Cristina Ghiachi Presidente della commissione istruzione dell’Anci e vicesindaco di Firenze la mensa scolastica costa ai Comuni ‘circa 1,25 miliardi di euro, dei quali solo una parte rientrano con la compartecipazione delle famiglie, che versano una quota in base al reddito’. Un dato significativo che fa riflettere e che ha bisogno di qualche elemento in più per essere inquadrato e compreso.
Il costo della mensa scolastica, cioè quello che pagano le famiglie, è diverso da comune a comune, da regione a regione e da nord a sud. La tariffa può avere un divario fino a quasi 5 euro da una mensa all’altra. ll rapporto di Cittadinanzattiva parla di costi che vanno da una media di oltre 700 euro a figlio, ma che può anche raddoppiare in alcune realtà del nord. L’Emilia Romagna vanta le tariffe più alte sia per la scuola dell’infanzia che per la primaria, con 1000 euro annui in media, mentre la Calabria è la più economica, con poco più di 500 euro all’anno.
Parlare dei costi è sempre molto complicato perché molti sono i fattori che vanno a comporre la tariffa per la mensa scolastica. Un genitore può pensare, per esempio, che una mensa tutta biologica costi molto di più di una mensa convenzionale, di fatto è così, ma quel delta si aggira intorno ai 50 centesimi e non è un valore così significativo. Più importanti sono gli aspetti organizzativi, come il numero del personale, cuochi, scodellatrici, addetti al trasporto, o il numero delle cucine. Va da sé che una mensa come quella di Torino con soli 5 centri cucina per 25.000 pasti al giorno dovrebbe costare di meno rispetto alla mensa di Cremona con 30 cucine per 3.000 pasti al giorno. Invece non è così: € 7,20 Torino contro i € 5.00 di Cremona (tariffe massime al di fuori delle fasce Isee). Quello che appare chiaro è che la tariffa della mensa scolastica non è sempre o solo la somma di tutti i fattori di costo.
Attraverso la nostra indagine sui menu scolastici (Rating 2016/17), che ha preso in considerazione anche le tariffe, abbiamo identificato tre modelli di costo che ruotano intorno alla mensa scolastica. Il primo modello è quello dove il Comune sceglie di contribuire e condivide il costo con le famiglie, come a Perugia dove le famiglie pagano € 2,50 euro a pasto, circa la metà del costo effettivo che viene sovvenzionato dall’Amministrazione. Poi c’è il ‘costo ribaltato’ quello che il Comune paga al fornitore e che viene rigirato in toto alle famiglie; infine c’è il ‘costo maggiorato’ quello a cui l’Amministrazione aggiunge un ulteriore aggravio, rispetto al costo effettivo, per fare cassa attraverso il servizio di ristorazione scolastica.
Il costo della mensa è soprattutto una scelta politica. L’esempio più esplicito è quello della mensa fornita dalla società Partecipata Qualità e Servizi che ha un unico centro cucina a Calenzano (al confine di Sesto Fiorentino) e serve tre Comuni vicini, ciascuno dei quali ha tariffe diverse: a Sesto Fiorentino il costo è di € 5,03, a Campi Bisenzio di € 4.40, mentre nel Comune di Signa il costo scende a € 4,30.
Per qualche Amministrazione la mensa non è solo un fattore di costo, ma è soprattutto un servizio che rientra nelle politiche sociali del Comune, per altri si tratta di un servizio fine a se stesso e, per altri ancora, può diventare una fonte di guadagno.
Ci sono altri Comuni, ancora pochi, per i quali la mensa è uno strumento di sviluppo del territorio. E’ il caso di Piacenza dove da quasi 15 anni si è costituito un consorzio di produttori locali che ha declinato la propria produzione per rifornire la mensa, mentre, in parallelo, il Comune ha elaborato un capitolato per la nuova gara d’appalto in grado di premiare con il massimo punteggio le aziende che fornivano materie prime locali biologiche. Risultato? Il territorio si è convertito alla produzione biologica, la mensa delle scuole di Piacenza e della provincia, insieme all’ospedale, hanno cominciato a mangiare prodotti locali biologici. Il servizio di refezione scolastica è diventato così uno strumento di sostegno al sistema agricolo e agro-industriale locale, mentre il territorio ha contribuito a migliorare la qualità dei prodotti della mensa attraverso un modello sostenibile. Ecco perché nei piatti dei bambini si trovano carni bovine biologiche, pollo biologico, carni suine biologiche, formaggi biologici, yogurt biologico, il Grana Padano, polpa di pomodoro e passata di pomodoro biologica e farina di grano tenero biologica, tutti prodotti che vengono dalla colline piacentine.
Si tratta di un modello di mensa che non punta a ‘fare utili’, ma a fare sistema per sviluppare l’economia locale.
Tariffe diverse, politiche diverse, ma anche Amministratori che non parlano solo di costi per un servizio fine a se stesso, ma che hanno una vision e una prospettiva lungimirante che porta valore a tutti.